domenica 28 febbraio 2010

Parte I, Capitolo V, Paragrafo IV: La questione della Manciuria

Il Giappone fu colpito più di altri paesi dalla crisi economica mondiale e a causa di ciò i liberali di Shidehara si indebolirono a vantaggio di una crescente influenza della classe militare. Gli interessi nazionali in Manciuria resero questa situazione ancora più critica.

La Manciuria del sud, compresa la zona della ferrovia era sotto il controllo di una guarnigione nipponica, in difesa dei coloni e dei capitali investiti nella zona. Nel 1929 il Giappone controllava gran parte della Manciuria del Sud, oltre alla “zona della ferrovia”, essenziale terminal della Transiberiana.

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La parte settentrionale della regione era sotto il controllo del maresciallo cinese Liang, legato al Kuomintang di Chiang kay Shek; egli stimolò l’immigrazione cinese nella regione, costruì ferrovie ed investì capitali provocando la preoccupazione dei giapponesi, che si accrebbe quando il Kuomintang aprì nella zona un ufficio di propaganda patriottica ed anti-nipponica.

Per evitare la perdita della Manciuria lo Stato Maggiore giapponese decise di occupare tutta la regione, nonostante l’opposizione del partito liberale ancora al governo; l’occupazione fu attuata in poche settimane e nell’ottobre 1931 i cinesi erano ridotti all’impotenza.

Il governo cinese fece allora ricorso alla Società delle Nazioni, che ordinò il ritiro delle truppe giapponesi nella misura in cui fosse assicurata la protezione dei loro cittadini; ma in dicembre il governo liberale del Giappone cadde e fu sostituito da uno più conservatore appoggiato fortemente dai militari.

La conseguenza fu che il conflitto si estese anche nella zona di Shangai, occupata dai giapponesi nei primi mesi del ’32; la SDN ancora una volta ignorò le proteste cinesi e non dichiarò il Giappone paese aggressore, ottenendo solo un armistizio a maggio.

Intanto in Manciuria continuava la politica di occupazione, nonostante la “dottrina Hoover” sconfessasse le conquiste territoriali ottenute con la forza.

Cessata nel 1932 la debole resistenza delle truppe cinesi lo Stato Maggiore giapponese favorì la nascita di un movimento indipendentista mancese, che fu poi attuato da un gruppo di cinesi (“Comitato esecutivo delle province del nord-est”); con l’appoggio del governo giapponese fu così creato lo stato fantoccio del MANCIUKUÒ (marzo 1932), retto formalmente dall’ex imperatore cinese Pu Yi ma di fatto controllato politicamente e militarmente dai giapponesi, che mantenevano forti guarnigioni.

A questo punto la Società delle Nazioni era costretta a prendere posizione sulla questione. Nel febbraio 1932, spinta dalle conclusioni anti giapponesi del rapporto Litton, votò all’unanimità (tranne il Giappone) una relazione in cui si condannava “moralmente” la politica di invasione nipponica e si screditava il governo del Manciukuò, dichiarando la Manciuria regione autonoma sotto sovranità cinese. Affermava peraltro il comportamento irreprensibile del Governo Cinese e il fatto che il Giappone non avesse il diritto di intervenire militarmente: ordinava pertanto il ritiro nella zona della ferrovia.

Per tutta risposta il Giappone abbandonò la SDN nel marzo 1933. Le potenze europee, impegnate a fronteggiare problemi economici e politici, non presero in considerazione l’idea di una guerra al Giappone. Anche l’URSS, nonostante il fatto che avesse ristabilito le sue relazioni diplomatiche con la Cina nel 1932, finì per riconoscere lo status quo dell’occupazione Giapponese, anche per poter conservare dei diritti sulla Ferrovia dell’est cinese.

L’invasione del Jehol

Il Giappone non abbandonò la sua politica di aggressione; infatti, quando il governo militare capì che nessuna potenza avrebbe intrapreso la guerra per la Cina, iniziò anche l’occupazione del Jehol, superando la Grande Muraglia e minacciando la stessa Pechino già nel febbraio del ’33.

A questo punto i cinesi si arresero e a maggio fu firmato un armistizio (Tregua di Tangku – maggio 1933) in cui la Cina fu obbligata a smilitarizzare un enorme fascia di territorio dentro la Grande Muraglia.

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Il colpo di forza giapponese riuscì in pieno, dimostrando ancora una volta l’inefficacia della SDN e l’inutilità delle “condanne morali” operate dalle democrazie occidentali. In effetti, la mera condanna morale non supportata da un intervento militare dimostrò alle potenze Occidentali che non era possibile ipotizzare una pace duratura a livello internazionale. Questo atteggiamento aveva consentito solo l’instaurazione in Giappone, Germania e Italia di regimi dittatoriale che avrebbero tratto il massimo profitto da questa inerzia nelle relazioni diplomatiche.

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