sabato 6 marzo 2010

Parte II, Capitolo II, Paragrafo III: La questione d’Etiopia

Tuttavia la concordanza franco-anglo-italiana non ebbe lunga vita: l’Inghilterra era preoccupata per il patto franco-sovietico diretto esplicitamente contro la Germania, che era considerata nonostante Hitler un cardine del sistema di sicurezza collettivo.

Lo stesso Fuhrer (secondo il “Main Kampf”) considerava l’Inghilterra nel campo tedesco e dunque fu siglato un “accordo navale anglo-tedesco” che limitava la marina nazista al 35% di quella inglese lasciando libere le unità sottomarine.

Molte furono le proteste sollevate da Francia e Italia che non furono neanche consultate.

La concordanza fu definitivamente spezzata a causa dell’invasione italiana dell’Etiopia, stato membro della Società delle Nazioni.

A proposito dei rapporti dell’Italia con le colonie in Africa bisogna dire che Mussolini ereditò una patata bollente dai governi precedenti: a fine ‘800 il governo acquista delle terre sulle coste somale ed eritree dall’impero ottomano al fine di ottenere nuove terre e nuovi posti di lavoro in cui dirigere la forte emigrazione che partiva soprattutto dal mezzogiorno meno sviluppato.

Le terre acquistate, però, si rivelano di scarso valore e si pensa ad una conquista a danno del popolo abissino: gli Abissini erano una civiltà più sviluppata rispetto alle altre popolazioni africane, burocratizzati e cristianizzati con rito copto avevano istituzioni politiche abbastanza avanzate, con un “negus neghesti” eletto a turno tra i quattro territori che componevano lo stato.

Con il trattato di Uccialli si tenta un imbroglio indegno che è subito smascherato, poi la battaglia di Adua pone tragicamente fine ad una campagna militare organizzata con troppa sufficienza; in seguito la “politica di raccoglimento” inaugurata da Ferdinando Martini opta per una risoluzione dei problemi interni con una maggiore attenzione alla situazione dello Stato e della società italiana, senza “valvole di sfogo” esterne.

Nei primi del ‘900 si decide di rinunciare all’Africa Orientale e si organizza la spedizione in Libia, che è conquistata dopo una guerra con l’impero ottomano nel 1912.

Durante la seconda guerra mondiale si ritorna a parlare delle colonie africane e comparirà sul tavolo della pace il “Memoriale Colosimo” con il quale si auspicava la conquista dell’intera Etiopia da parte dell’Italia; Francia ed Inghilterra si opposero a queste richieste non pattuite e fecero delle controfferte, considerando anche le rivendicazioni su Fiume (che peraltro non avevamo chiesto prima della guerra e non figura negli “Accordi di Londra”).

Fu allora che gli oppositori del governo iniziarono la campagna della “Vittoria mutilata”, una grande strumentalizzazione orchestrata soprattutto da Nitti (che poi riuscirà a farsi eleggere Presidente del Consiglio nel 1922 con soli 35 deputati in cambio della soppressione di una scomoda commissione d’inchiesta sulle forniture militari durante la Grande Guerra) e dalla fazione cattolica impersonata dal senatore Tittoni, in contrasto con il governo per il prolungamento della questione romana.

Dunque è il governo Mussolini ad ereditare queste aspirazioni di conquista in Africa:

in un primo tempo egli cerca di ottenere una penetrazione economica nella zona, stipulando nel 1928 degli accordi che prevedevano la costruzione della ferrovia Gibuti-Addis Abeba e di una strada che avrebbe messo in comunicazione l’altopiano etiopico di 2000 metri con le pianure a sud; questi accordi di “cooperazione tecnica” non furono mai resi operativi dagli etiopici (il dislivello dell’altipiano era la loro unica difesa naturale da un attacco).

Mussolini tentò allora la carta diplomatica, cercando di ottenere da Francia ed Inghilterra l’assenso alla costruzione di una ferrovia nella zona sud pianeggiante dell’Etiopia per unire Eritrea e Somalia, in base ad accordi del 1906 sulla spartizione delle zone di influenza in Etiopia, senza ottenere grandi risultati. La situazione cambiò nel 1934.

I due paesi avevano stipulato nel 1928 anche un trattato di conciliazione e di arbitrato, ma nel 1934 vi fu un incidente a Ual-Ual in cui furono uccisi 30 indigeni dell’esercito italiano.

Mussolini prima rifiutò l’arbitrato poi, preoccupato dal ricorso etiopico alla SDN, lo accettò; l’arbitrato fallì e iniziarono preparativi militari italiani in Eritrea, con truppe irregolari formate soprattutto da “cani sciolti” appartenenti alle camice nere, cosicché l’Etiopia fece un nuovo ricorso, il giorno prima dell’annuncio del riarmo tedesco da parte di Hitler, ponendo in difficoltà le altre due potenze locarniane.

La Francia non aveva interessi in quella zona e con gli “Accordi di Roma” del gennaio 1935 Laval aveva dato a Mussolini il via libera in Etiopia (a condizione tuttavia che questo non provocasse una guerra), mentre l’Inghilterra, che vedeva come una minaccia alla via delle Indie e ai suoi possedimenti in Africa la costituzione di un’Africa Orientale Italiana, moltiplicò gli avvertimenti a Mussolini.

Durante tutto il 1935 vi furono dei negoziati dai quali uscirono varie proposte, come quella di un “mandato comune franco-anglo-italiano” sull’Etiopia (nonostante questa fosse uno stato membro della SDN) in cui gli italiani avrebbero avuto l’amministrazione e l’esercito; Mussolini rifiutò tutte le proposte.

A questo punto gli inglesi tentarono con le minacce, concentrando gran parte della flotta britannica a Gibilterra e ad Alessandria, nonostante essi non desiderassero una guerra in cui avrebbero agito da soli; la situazione cambiò quando da un sondaggio sull’opinione pubblica inglese il governo comprese la volontà di pace della nazione (“peace ballot”) e Laval propose agli inglesi delle “conversazioni militari” in cambio di un allentamento della tensione etiopica.

Mussolini sfruttò questa situazione, richiamò le camice nere e iniziò delle vere operazioni militari in Etiopia nell’ottobre 1935, ma ancora con l’intenzione di annettere solo la zona sud.

La SDN reagì subito adottando contro l’Italia delle sanzioni finanziarie ed economiche, ma solo l’embargo sulle armi e il divieto di alcune esportazioni (tra le quali, forse su pressioni inglesi e francesi, non furono inserite quelle dei prodotti utili alla guerra); in effetti si era molto lontani dalla rottura immediata di tutte le relazioni commerciali e finanziarie con l’aggressore disciplinata dall’art. 16 del Conveant (patto) della SDN. Inoltre, gli Stati Uniti, non facendo parte della SDN, rifiutavano di applicare le sanzioni, vanificando in definitiva gli sforzi della SDN.

Un tentativo estremo per fermare Mussolini fu tentato in dicembre, quando fu presentato un piano anglo-francese (piano Laval-Hoare) che consegnava all’Italia 2/3 dell’Etiopia e le garantiva un controllo sul restante territorio (teoricamente uno stato etiopico indipendente), concedendo più terre di quante gli italiani avessero fino allora conquistato e desiderassero.

L’Etiopia fu praticamente costretta ad accettare, tuttavia il piano fallì poiché arrivò a conoscenza dell’opinione pubblica inglese e tedesca che protestarono vivacemente (il governo nazista vedeva in questo piano un ricompattamento del fronte di Stresa e fece una grossa campagna informativa per farlo fallire); Mussolini, irritato per il fallimento, denunciò in un sol colpo gli accordi di Roma e quelli di Stresa e congelando quelli Gamelin-Badoglio.

L’esercito fu incrementato e si passò ad una vera e propria guerra dal gennaio 1936.

L’Inghilterra tentò allora l’embargo sui prodotti petroliferi ma gli USA potevano rifornire senza problemi l’Italia, decretando il definitivo fallimento delle sanzioni.

La scontata vittoria arrivò tre mesi dopo ed il 7 marzo 1936, catturato l’interesse internazionale sulla denuncia da parte della Germania del trattato di Locarno, Mussolini poté negoziare la pace richiesta dall’Etiopia senza alcuna limitazione; il colpo di forza italiano era così perfettamente riuscito, ma nello scacchiere internazionale era cambiato molto.

Per aumentare il peso politico dell’Italia, Mussolini cercò appoggi in Germania, sperando così in un addolcimento dell’Inghilterra sull’Etiopia ed in effetti il piano riuscì perfettamente; tuttavia con questa scelta l’Italia abbandonava il tavolo dei vincitori e con la denuncia degli accordi di Stresa passava definitivamente nel campo dei paesi revisionisti, di cui la Germania nazista era sicuramente il leader, dando così più forza ai piani di Hitler e divenendo prigioniera del programma revisionista di espansione territoriale quasi mai supportato da chiare manovre politiche, come dimostrano le assurde rivendicazioni “Gibuti, Tunisia, Corsica, Nizza, Savoia” fatte conoscere ai francesi nel 1938 attraverso le acclamazioni invasate nella Camera dei Fasci e delle Corporazioni direttamente dai “parlamentari” fascisti.

La conseguenza più importante di questo avvicinamento italo-tedesco fu la perdita della indipendenza austriaca (prima con l’accordo austro-tedesco nell’estate del 1936, poi con la definitiva annessione nel 1938) ed il progressivo convincimento del Duce ad abbandonare la politica estera danubiana e concentrarsi verso il Mediterraneo e le colonie.

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