domenica 28 febbraio 2010

Parte II, Capitolo I, Paragrafo IV: Il “Patto Balcanico” e la politica estera francese.

 

- L’ultimo successo della “pattomania” si ebbe con il “Patto Balcanico” del febbraio 1934, stipulato da Grecia, Turchia, Jugoslavia e Romania, che garantiva l’integrità territoriale dei quattro paesi contro il revisionismo di Bulgaria ed Ungheria (la prima godeva dell’appoggio italiano ed inglese ma, per influenza francese, non fu inclusa nel patto).

- Anche la Francia cercò di crearsi delle alleanze in funzione anti-tedesca.

I rapporti Fra i due paesi erano stati cattivi almeno fino al 1930. Da questa data invece avevano assunto un andamento più favorevole. Nel maggio del 1931 a Parigi il segretario degli affari esteri Berthelot incontrò l'ambasciatore sovietico. Poco dopo Briand si incontrò a Ginevra con Litvinov. I negoziati avevano lo scopo di migliorare le relazioni commerciali e soprattutto di stipulare un trattato di non aggressione. Per la politica russa si trattava di un elemento importante per l'offensiva di pace orchestrata da Litvinov. Ci vuole però parecchio prima che questo trattato franco-sovietico fosse firmato. Questo risultato fu raggiunto nel novembre del 1932.

Questo trattato allontanava l'Urss dalla Germania riavvicinando la alla Francia. D'altronde con l'avvento di Hitler al potere nel gennaio del 1933 e la conseguente distruzione del partito comunista tedesco i rapporti e le relazioni con i sovietici si erano deteriorati. Nel corso del 1933 il riavvicinamento franco sovietico si accentuò. Alcuni ambienti militari francesi auspicavano un avere propria alleanza.

Il Piano Barthou

per affrontare il pericolo crescente rappresentato da Germania nazista,

Barthou aveva elaborato un piano che tentò di realizzare nel corso della primavera e dell'estate del 1934. La sua intenzione era quella di negoziare un vero e proprio patto dell'est. Il punto cruciale fu l'incontro del 18 maggio Ginevra con Litvinov. L'isolazionismo britannico faceva sì che solo due grandi potenze fossero in grado di aiutare la Francia in funzione anti-germanica: l'Italia e l'Urss. Barthou aveva però più fiducia nel armata Rossa e il patto dell'est rappresentava per lui una garanzia indispensabile. Il 2 giugno presentò al Litvinov il suo progetto di trattato: si trattava di stipulare tre trattati, di cui uno era una garanzia reciproca fra vicini che prevedeva un aiuto militare immediato incasso di aggressione (Germania, Urss, Finlandia, Estonia, Lettonia, Polonia, Cecoslovacchia).

Il trattato B era invece un trattato di assistenza franco-sovietico ottenuto tramite la decisione dell'Urss al trattato di Locarno e l'adesione francese al patto orientale. Il terzo documento era una dichiarazione secondo la quale il primo il secondo trattato non erano in contraddizione con la società delle nazioni e sarebbero entrati in vigore quando l'Urss vi fosse stata messa. Tuttavia progetto fallì di fronte rifiuto della Polonia, e della Germania. Quanto all'Inghilterra Barthou aveva in realtà ottenuto un appoggio riservato. Di questo documento restava però l'essenziale: la possibilità di una vera e propria alleanza franco sovietica.

L'ammissione dell'Urss alla società delle nazioni

il solo risultato immediato alla politica di Barthou fu l'ammissione dell'Urss alla società delle nazioni. L'associazione era molto provata dall'uscita del Giappone della Germania, cosicché Litvinov ricevette un telegramma dall'assemblea in cui l'Urss era ammessa alla società delle nazioni e per essa fu creato anche un seggio permanente nel consiglio.

La conseguenza più immediata del legame franco-russo fu l’ammissione dell’URSS nella Società delle Nazioni, avvenuta nel settembre 1934.

L’ultima azione diplomatica di Barthou fu l’avvicinamento alla Jugoslavia: invitò in Francia il sovrano jugoslavo Alessandro in ottobre ma lo stesso giorno i due furono assassinati da un gruppo di terroristi croati facenti capo alla “Ustascia”, società segreta separatista sostenuta da Mussolini.

Ma il Duce non aveva interesse ad appoggiare l’azione (era in cantiere un accordo tra Francia ed Italia), l’unico sostegno poteva arrivare dai nazisti.

In ogni caso il posto di Barthou fu preso da Laval, il quale non riuscì a mantenere le alleanze tessute dal suo predecessore, trasformando la politica estera francese in una sorta di mercanteggiamenti di conciliazione a breve termine un po’ con tutti, usando riguardi verso la Germania e l’Italia (il nuovo re jugoslavo Paolo si riavvicinò alla Germania).

 

Il plebiscito della Saar egli accordi di Roma(gennaio 1935)

 

La campagna per il plebiscito

La politica conciliante di Laval nei riguardi della Germania dell'Italia si manifestò subito. Il problema più importante che doveva essere regolato fra la Francia e la Germania, come aveva detto a più riprese anche Hitler, era il problema della Saar. L'opinione pubblica in Francia si era abituata all'idea che prima o poi il plebiscito avrebbe avuto luogo alla data prevista (gennaio 1935). Verso il 1930 tutto lasciava prevedere che la quasi totalità degli abitanti della Saar avrebbe votato in favore della riunificazione alla Germania.

Con l'avvento del nazismo La situazione cambiò, poiché la maggior parte della popolazione della Saar era cattolica, ed era molto scossa dalle notizie delle persecuzioni avvenute in Germania con l'avvento del nazismo. Inoltre gli altri partiti socialisti e comunisti erano preoccupati di veder sparire le loro rappresentanze. Al contrario invece il partito nazista si sviluppava praticamente senza ostacoli.

Sul piano internazionale il problema si presentava in questo modo: vi era una certezza che solo una minoranza trascurabile si sarebbe pronunciata in favore della riunificazione alla Francia. Restavano solo due soluzioni possibili: la riunione alla Germania o il mantenimento dello status quo, cioè l'amministrazione da parte di una commissione di governo nominata dalla società delle nazioni. L'atteggiamento della Germania e della Francia erano molto diversi. Hitler organizzava una formidabile propaganda. Da parte francesi invece, il governo dell'opinione pubblica si disinteressavano al problema. Faceva eccezione solo la stampa di destra e una parte della stampa di sinistra, oltre ad alcuni grandi industriali che avevano interessi economici nella Saar. Ma non disponendo di mezzi finanziari sufficienti, la propaganda francese era sommersa da quella hitleriana.

Il plebiscito

il consiglio della società delle nazioni costituì nel nel 1934 un "comitato dei tre" per sorvegliare il plebiscito. Il 2 giugno fu firmato un accordo franco-tedesco che garantiva che nessuno dei due paesi avrebbe operato pressioni sugli elettori. Il 31 agosto, Barthou invece inviò alla società delle nazioni un promemoria di garanzia per gli interessi francesi nella regione. Quando Laval successe a Barthou, l'atteggiamento francese si ammorbidì. Laval spinse il suo atteggiamento di rinuncia alle estreme conseguenze. Fu concluso un accordo che lasciava praticamente ogni libertà alla propaganda tedesca e metteva fine a quella della Francia: tale accordo fu anche ratificato dalla società delle nazioni. Il 3 dicembre infine fu firmato un altro accordo franco-tedesco che prevedeva il pagamento da parte della Germania di un compenso di 900 milioni di franchi per tutti i crediti e le proprietà francesi presenti nella regione.

Il 90% degli abitanti della Saar optò per la Germania nazista. Nel gennaio del 1935 il consiglio della società delle nazioni decise di conseguenza il ritorno della Saar alla Germania, che sarebbe avvenuto il 1 marzo. Hitler dichiarò solennemente che la Germania non avrebbe più avanzato alcuna rivendicazione territoriale nei confronti della Francia.

Gli accordi di Roma

anche nei confronti dell'Italia la politica di Laval fu molto conciliante. Mussolini voleva assicurarsi l'appoggio della Francia per scongiurare una nuova minaccia tedesca contro l'Austria, avendo inoltre già deciso di intraprendere la conquista dell'Etiopia.

Questo accordo fu concluso in occasione della visita di Laval a Roma, all'inizio del gennaio 1935. Gli accordi di Roma del 6 gennaio stabilivano la cessione all'Italia, da parte della Francia, di alcuni territori in Africa. In cambio l'Italia acconsentiva all'eliminazione progressiva dello statuto privilegiato degli italiani in Tunisia, a partire dal 1945. L'Italia la Francia con venivano di consultarsi in caso di minaccia per l'indipendenza l'integrità dell'Austria. Durante la conversazione privata avuta con Mussolini, Laval avrebbe dato carta bianca Mussolini per l'annessione dell'Etiopia. Tale promessa fu confermata anche dallo stesso Laval negli anni successivi, limitando però tale concessione all'evenienza di scongiurare una guerra. Mussolini invece intese tale concessione in modo molto largo.

 

Parte II, Capitolo I, Paragrafo III: La crisi dell’estate del 1934

Nel 1934 la Germania iniziò il suo riarmo. I francesi erano sicuri della superiorità degli investimenti militari che avevano fatto, in realtà Hitler impiegò somme enormi per la ricostruzione dell’esercito, mentre cercava pazientemente di smantellare il sistema delle alleanze francesi in Europa.

Nel gennaio 1934 fu firmata una dichiarazione di non aggressione con la Polonia valida per dieci anni, dopo una preparazione totalmente segreta per l’ostilità di alcuni ambienti prussiani alla Polonia e per i legami di quest’ultima con la Francia; in realtà prima dell’accordo era fallito (su rifiuto francese) un accordo franco-polacco per un’operazione preventiva contro l’hitlerismo.

Il patto dichiarava l’inizio di rapporti pacifici tra Germania e Polonia sulla base dei principi del patto Briand-Kellogg, quindi tramite una risoluzione pacifica delle controversie.

Sul versante italiano la tattica tedesca fu molto meno fortunata, nonostante l’ammirazione che Hitler nutriva sinceramente per Mussolini; ciò che divideva i due dittatori era la questione dell’Anschluss e le zone di influenza nell’Europa dell’est.

L’Italia voleva sottoporre sotto la sua influenza economica l’Austria, l’Ungheria e la Croazia e nel marzo ’34 furono firmati a Roma importanti accordi economici a tal fine, vantaggiosi soprattutto per gli austriaci; Hitler, al contrario, sosteneva il partito nazista austriaco e riteneva che la zona danubiana fosse di influenza tedesca e che l’Italia dovesse rivolgersi verso il Mediterraneo. Il contrasto fu a culmine nel luglio 1934, un mese dopo l’incontro tra i due che si svolse a Venezia e che non diede alcun risultato positivo concreto e subito prima della violenta epurazione interna che Hitler operò ordinando l’assassinio di molte personalità, ufficiali delle Sa e delle SS, compiuti nella “notte dei lunghi coltelli”(30 giugno).

Cominciò ad essere chiaro con questo episodio che i nazisti non osservavano regole.

Fu a luglio che avvenne in Austria l’assassinio del cancelliere austriaco Dollfuss, capo del partito cattolico che, insieme ai socialisti, era contrario all’unione con la Germania nazista.

 

L’omicidio fu preparato in Germania e compiuto dai nazisti austriaci con lo scopo di porre come cancelliere un fantoccio di Hitler, Rintelen; il piano fallì poiché fu tempestivamente nominato un nuovo cancelliere cattolico e perché la Heimwehr (gruppo nazionalista legato ai fascisti italiani) occuparono la centrale telefonica ed impedirono le comunicazioni tra i nazisti e Berlino. Reintelen fu arrestato e Mussolini (che ospitava la famiglia Dollfuss) inviò due divisioni di alpini al confine del Brennero come monito alla Germania.

Il governo nazista si dissociò subito dall’azione ma il Duce constatò in questa occasione l’immobilità delle democrazie occidentali verso la questione dell’Anschluss.

Parte II, Capitolo I, Paragrafo I e II: L’AVVENTO AL POTERE DI HITLER E IL FALLIMENTO DELLA CONFERENZA SUL DISARMO.

Il “Patto a Quattro” e il fallimento dei piani di disarmo.

Adolf Hitler giunse al potere come cancelliere nel gennaio 1933, dopo l’incendio del Reichstag e le successive elezioni di marzo, il partito nazista ebbe un potere assoluto;

la Costituzione di Weimar fu abolita e proclamato il III Reich.

Subito Hitler sciolse i partiti politici e riorganizzò l’amministrazione, iniziando l’odiosa persecuzione contro gli Ebrei.

Le reazioni internazionali si orientarono verso la limitazione dei rischi che poteva portare la presenza di un governo ultranazionalista in Germania; Mussolini auspicava un accordo tra le quattro potenze europee per assicurare la pace nel vecchio continente, in realtà egli intendeva questo patto d’intesa come un mezzo per arrivare pacificamente alla revisione dei confini di Versailles, tramite accordi sanciti dalla SDN.

Von PapenMussolini sottopose il suo progetto a Francia, Germania ed Inghilterra: Von Papen, ispirato dagli stessi progetti revisionisti, dichiarò l’idea “geniale”, il governo britannico assunse una posizione di attesa mentre la Francia propose delle modifiche al progetto italiano; infatti, essa era legata agli stati della piccola intesa e al Belgio, i quali protestarono fortemente contro questo nuovo “concerto delle Potenze” che si andava delineando.

In queste condizioni l’accordo fu comunque siglato a Roma il 7 giugno 1933, ma in esso vi erano tutte le limitazioni imposte dalla Francia: non si parlava più di uguaglianza della Germania e di affrontare una politica europea comune, inoltre le potenze avrebbero dovuto rispettare le decisioni del Consiglio della SDN, senza fare da sole (“Patto a quattro”).

Tuttavia, le intenzioni di Mussolini erano così diverse che il Patto non fu ratificato e sembrarono perdute le speranze di una revisione pacifica dei trattati.

- Per quanto riguarda lo spinoso problema del disarmo, il Trattato di Versailles prevedeva un disarmo generale, che doveva essere preceduto da quello tedesco.

A tal scopo si riunì a Ginevra nel febbraio 1932 la “Conferenza del disarmo”, che riuniva 62 paesi riuniti in una Commissione generale con i delegati di tutti gli Stati.

Vi furono diversi progetti presentati da varie nazioni:

il “PIANO TARDIEU” (delegato francese) partiva dalla necessità francese di non disarmare e proponeva di mettere le armi più pesanti sotto l’egida dell’ONU e a favore degli Stati attaccati.

La Germania chiese la riduzione di tutti gli armamenti ai livelli fissati dal Trattato di Versailles per l’esercito tedesco. Non si giunse a nessun accordo.

il “PIANO HOOVER” prevedeva riduzioni di 1/3 di esercito e marina e l’eliminazione completa dell’artiglieria pesante. Francia ed Inghilterra rifiutarono e si approvò un compromesso elaborato da Benes (inviato cecoslovacco) che invitava ad una riduzione degli armamenti mondiali senza fissare né proporzioni né cifre, che non significava granché.

Con il pretesto che non le era stata concessa l’uguaglianza, la Germania abbandonò la conferenza e rifiutò la proposta. Per sanare il contrasto si riunì a Ginevra una conferenza a cinque (Italia,  Inghilterra, USA, Francia e Germania) che, alla vigilia della presa del potere di Hitler, accordò alla Germania “l’uguaglianza dei diritti in un sistema che garantisca la sicurezza di tutte le nazioni” (settembre 1932).

il “PIANO HERRIOT” ampliava quello di Tardieu riducendo gli eserciti ad una milizia a ferma breve e poco adatta all’offensiva per la lentezza della mobilitazione.

il “PIANO MACDONALD” (marzo 1933) fissava a 200.000 uomini gli eserciti dei paesi europei (la Germania dopo cinque anni), Hitler accettò ma un ricorso degli Ebrei di Slesia alla SDN impressionò molto le democrazie occidentali; queste irrigidirono il loro atteggiamento e decisero, all’opposto della proposta tedesca, di stabilire il controllo degli armamenti in Germania prima di iniziare il disarmo dei loro eserciti.

Per questo “voltafaccia” Hitler decise a sorpresa di abbandonare la Conferenza sul disarmo nell’ottobre 1933, alla sua riapertura. Pochi giorni dopo la Germania abbandonò anche la Società delle Nazioni; il popolo tedesco approvò con un plebiscito queste decisioni.

il “PIANO TEDESCO” partì da una proposta fatta dalla Francia nel novembre 1933: un esercito metropolitano di 300.000 uomini per entrambi i paesi, se la Germania tornava a Ginevra.

La Germania rifiutò di tornare alla Conferenza e alla SDN, protestando anche per la disparità degli eserciti data dalle truppe coloniali francesi.

Per evitare la rottura l’Inghilterra tentò una mediazione tra il piano MacDonald e quello tedesco, che fu accettato da Hitler; tuttavia in Francia, dove si era costituito un governo di unità nazionale, prevalse il punto di vista di Tardieu e del maresciallo Petain che ritenevano il regime Hitleriano sul punto di crollare.

Perciò il governo francese pubblicò una nota in cui si rifiutava di legalizzare il riarmo tedesco e affermava che avrebbe garantito la difesa dello Stato con i propri mezzi. Mussolini propose di impedire il riarmo della Germania con una guerra preventiva ma la sua proposta bellicosa non fu considerata dai governi occidentali.

Fu la rottura definitiva.

Parte I, Capitolo V, Paragrafo IV: La questione della Manciuria

Il Giappone fu colpito più di altri paesi dalla crisi economica mondiale e a causa di ciò i liberali di Shidehara si indebolirono a vantaggio di una crescente influenza della classe militare. Gli interessi nazionali in Manciuria resero questa situazione ancora più critica.

La Manciuria del sud, compresa la zona della ferrovia era sotto il controllo di una guarnigione nipponica, in difesa dei coloni e dei capitali investiti nella zona. Nel 1929 il Giappone controllava gran parte della Manciuria del Sud, oltre alla “zona della ferrovia”, essenziale terminal della Transiberiana.

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La parte settentrionale della regione era sotto il controllo del maresciallo cinese Liang, legato al Kuomintang di Chiang kay Shek; egli stimolò l’immigrazione cinese nella regione, costruì ferrovie ed investì capitali provocando la preoccupazione dei giapponesi, che si accrebbe quando il Kuomintang aprì nella zona un ufficio di propaganda patriottica ed anti-nipponica.

Per evitare la perdita della Manciuria lo Stato Maggiore giapponese decise di occupare tutta la regione, nonostante l’opposizione del partito liberale ancora al governo; l’occupazione fu attuata in poche settimane e nell’ottobre 1931 i cinesi erano ridotti all’impotenza.

Il governo cinese fece allora ricorso alla Società delle Nazioni, che ordinò il ritiro delle truppe giapponesi nella misura in cui fosse assicurata la protezione dei loro cittadini; ma in dicembre il governo liberale del Giappone cadde e fu sostituito da uno più conservatore appoggiato fortemente dai militari.

La conseguenza fu che il conflitto si estese anche nella zona di Shangai, occupata dai giapponesi nei primi mesi del ’32; la SDN ancora una volta ignorò le proteste cinesi e non dichiarò il Giappone paese aggressore, ottenendo solo un armistizio a maggio.

Intanto in Manciuria continuava la politica di occupazione, nonostante la “dottrina Hoover” sconfessasse le conquiste territoriali ottenute con la forza.

Cessata nel 1932 la debole resistenza delle truppe cinesi lo Stato Maggiore giapponese favorì la nascita di un movimento indipendentista mancese, che fu poi attuato da un gruppo di cinesi (“Comitato esecutivo delle province del nord-est”); con l’appoggio del governo giapponese fu così creato lo stato fantoccio del MANCIUKUÒ (marzo 1932), retto formalmente dall’ex imperatore cinese Pu Yi ma di fatto controllato politicamente e militarmente dai giapponesi, che mantenevano forti guarnigioni.

A questo punto la Società delle Nazioni era costretta a prendere posizione sulla questione. Nel febbraio 1932, spinta dalle conclusioni anti giapponesi del rapporto Litton, votò all’unanimità (tranne il Giappone) una relazione in cui si condannava “moralmente” la politica di invasione nipponica e si screditava il governo del Manciukuò, dichiarando la Manciuria regione autonoma sotto sovranità cinese. Affermava peraltro il comportamento irreprensibile del Governo Cinese e il fatto che il Giappone non avesse il diritto di intervenire militarmente: ordinava pertanto il ritiro nella zona della ferrovia.

Per tutta risposta il Giappone abbandonò la SDN nel marzo 1933. Le potenze europee, impegnate a fronteggiare problemi economici e politici, non presero in considerazione l’idea di una guerra al Giappone. Anche l’URSS, nonostante il fatto che avesse ristabilito le sue relazioni diplomatiche con la Cina nel 1932, finì per riconoscere lo status quo dell’occupazione Giapponese, anche per poter conservare dei diritti sulla Ferrovia dell’est cinese.

L’invasione del Jehol

Il Giappone non abbandonò la sua politica di aggressione; infatti, quando il governo militare capì che nessuna potenza avrebbe intrapreso la guerra per la Cina, iniziò anche l’occupazione del Jehol, superando la Grande Muraglia e minacciando la stessa Pechino già nel febbraio del ’33.

A questo punto i cinesi si arresero e a maggio fu firmato un armistizio (Tregua di Tangku – maggio 1933) in cui la Cina fu obbligata a smilitarizzare un enorme fascia di territorio dentro la Grande Muraglia.

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Il colpo di forza giapponese riuscì in pieno, dimostrando ancora una volta l’inefficacia della SDN e l’inutilità delle “condanne morali” operate dalle democrazie occidentali. In effetti, la mera condanna morale non supportata da un intervento militare dimostrò alle potenze Occidentali che non era possibile ipotizzare una pace duratura a livello internazionale. Questo atteggiamento aveva consentito solo l’instaurazione in Giappone, Germania e Italia di regimi dittatoriale che avrebbero tratto il massimo profitto da questa inerzia nelle relazioni diplomatiche.

Parte I, Capitolo V, Paragrafo II e II: La Germania: il tentativo di Anschluss economico e la fine delle riparazioni.

Nel marzo 1931 il nuovo ministro degli esteri tedesco Curtius (che aveva sostituito Strasemann dopo la sua morte e che aveva continuato la sua politica di non contrapposizione con la Francia) firmò un progetto di unione doganale tra la Germania e l ‘Austria, dove tutte le forze politiche erano favorevoli a legami più stretti con la Germania.

Sul piano economico l’unione era un mezzo per superare la crisi economica. Ma in Francia l’opinione pubblica reagì con vigore, ricordando che lo Zollverein prussiano era stato il primo passo per l’unione dell’impero tedesco.

Il parlamento francese votò contro l’Anschluss, appoggiato all’estero anche dall’opposizione ufficiale dei paesi della Piccola Intesa e da quella di Italia ed Inghilterra; si decise, perciò, di rimettere la questione al parere della Corte Internazionale dell’Aja.

Ma la questione fu “risolta” ancora una volta dalla crisi economica che, investendo in pieno l’Austria e la Germania nell’estate del ’31, mise in gravi difficoltà i due governi che furono costretti a ritirare definitivamente il loro accordo per ricevere prestiti dalla Francia (l’Austria) e per ottenere una moratoria sulle riparazioni (la Germania).

- Nel gennaio 1930 entrava in vigore il piano Young, che fissava definitivamente l’ammontare delle riparazioni tedesche fino al 1988, in concomitanza con il pagamento dei debiti degli alleati agli Stati Uniti.

Questa situazione fu modificata dalla crisi finanziaria: nel 1931 il presidente americano Hoover propose una moratoria generale sia per i debiti interalleati che per le riparazioni, che fu accettata da tutti gli altri stati.

Nonostante ciò in Germania vi fu un crescente panico finanziario; un comitato di esperti riuniti a Parigi in una conferenza internazionale affermò che l’instabilità economica della Germania era pericolosa per la stabilità finanziaria e che l’ampiezza della crisi impediva l’applicazione rigorosa del Piano Young.

La fine delle riparazioni fu deciso alla CONFERENZA DI LOSANNA DEL 1932, nella quale la Francia dovette rassegnarsi ad accettare la soppressione dei pagamenti tedeschi già proclamata da Inghilterra ed Italia; gli alleati continuarono a pagare con piccole rate simboliche il debito agli USA fino al 1933, poi gli americani pretesero il rimborso totale e tutti gli stati europei smisero ogni pagamento.

Tutto ciò portò ad un ulteriore allontanamento degli USA da un Europa il cui atteggiamento li indignava, lasciando mano libera ai progetti revisionisti dei regimi dittatoriali; il periodo dei trattati di pace e del mantenimento degli obblighi internazionali era definitivamente chiuso.

Parte I, Capitolo V, Paragrafo I e II: I Primi insuccessi della Sicurezza Collettiva (1929-1933). Il fallimento del Progetto di Unione Europea.

La principale causa del fallimento del sistema della sicurezza collettiva fu sicuramente il crollo della borsa di Wall Street dell’ottobre 1929.

Numerose banche ed imprese fallirono ed il governo americano decise di sospendere i prestiti all’estero e di far rientrare i propri capitali; il ribasso dei prezzi mondiali provocò una crisi in tutti gli stati europei.

Gli USA scelsero di operare una politica isolazionista, lasciando campo libero alle potenze che volevano modificare gli accordi di Versailles, soprattutto la Germania che approfittava delle crisi di governo che si successero in Francia dopo la morte di Poincaré. Anche l’Inghilterra cercò di superare la crisi intensificando i suoi rapporti con il Commonwealth, disinteressandosi dei problemi europei.

Il Giappone (1931), l’Italia (1932) e la Germania con Hitler (1933) furono controllate dai partiti nazionalisti che predicavano una politica di forza; ciò avvenne proprio a causa della crisi che esasperò l’opinione pubblica e screditò il sistema democratico che ancora vigeva in Giappone e nella Germania della Repubblica Weimar.

In Italia Mussolini si orientò sempre più su di una politica di aggressione, dalla quale sembrava essersi tenuto lontano sino ad allora.

Il fallimento del progetto di Unione Europea di Briand

- Ad aumentare la spaccatura definitiva degli stati europei fu anche il fallimento del progetto di “Unione europea” proposto nel 1929 da Briand all’Assemblea della SDN.

Il politico francese stilò un memorandum che inviò a tutti gli stati europei interessati, nel quale prevedeva l’estensione del regime di sicurezza creato a Locarno a tutti gli stati europei, riuniti soprattutto a livello economico da una unione doganale e su quello politico da una conferenza con i rappresentanti di tutti i paesi.

Nel corso del 1930 tutti i paesi interessati risposero al memorandum, ognuno con delle critiche e delle riserve: la Germania temeva la stabilizzazione delle ristrette frontiere orientali, l’Italia voleva allargare l’Unione alla Russia e alla Turchia, la Gran Bretagna, infine, si opponeva a particolari organismi europei privilegiando l rapporti con i dominions. Fu solo costituita una “Commissione di studio per l’Unione europea”.

Questa commissione funzionò per tutto il 1931 sotto la presidenza di Briand. si occupò soprattutto di questioni economiche, senza raggiungere però alcun risultato concreto. Si trattava per Briand di un fallimento importante che lo avrebbe portato a perdere le elezioni in Francia a favore dei suoi avversari. Lo si accusava di praticare verso una Germania sempre più nazionalista una politica di concessioni unilaterali. Nel maggio del 1931 fu eletto alla presidenza della Repubblica francese Paul Doumer.

Parte I, Capitolo III, Paragrafo V: l'Europa orientale e mediterranea dal 1925 al 1929

 

Il periodo che va dal 1925 1929 fu meno travagliato del precedente nell'Europa orientale e mediterranea. l'Urss, il cui governo era già riconosciuto dalla maggior parte degli Stati europei, dopo la morte di Lenin avvenuta nel 1924 sino al 1927, in cui fu escluso Trotsky dal partito comunista, una grave crisi interna le impedì di partecipare attivamente alla politica europea.

L'unione sovietica temeva la costituzione di un fronte anche sovietico e considerava il trattato di Locarno come una minaccia. Inoltre l'Urss condannava la società delle nazioni, considerandola uno strumento privilegiato di controllo delle potenze europee.

La politica italiana era ancora più attiva, soprattutto nelle regioni del Danubio e dei Balcani, e quest'attività provocava un rafforzamento delle alleanze francesi.

Nella zona del Mediterraneo, gli avvenimenti principali furono le controversie che opponevano alla Grecia ai suoi vicini: Turchia, Bulgaria, Jugoslavia, Albania e Italia.

 

Il trattato di Berlino

 

Le relazioni tedesco-sovietiche erano cordiali dopo la firma del trattato di Rapallo, dove erano state poste le basi di una certa collaborazione politica economica. Durante la conferenza di Locarno, Cicerin fece dei passi presso il governo tedesco per concludere un trattato di amicizia neutralità. Stresemann cercò inizialmente di sottrarvisi, poi preoccupato di tenere in equilibrio la bilancia con i paesi occidentali, accettò la firma di un accordo economico  (ottobre 1925), seguito da un accordo politico che fu sottoscritto a Berlino nell'aprile del 1926.

Dopo qualche mese, con l'ingresso della Germania nella società delle nazioni, l'unione sovietica si preoccupò nuovamente del rapporto con questo paese, considerando la SDN come uno strumento della politica capitalistica diretta contro l'Urss.

 

Russia, Polonia e Stati baltici

 

La Polonia cercò nel 1925 di ottenere un trattato di garanzia delle sue frontiere orientali. Nel gennaio fu firmato un trattato di arbitrato fra i quattro paesi. Tuttavia la Lituania, era rimasta molto ostile alla Polonia per la questione di Vilna. Per questo cercò di creare una piccola intesa baltica. L'Urss intervenire per impedire la firma di un tale accordo, che riteneva giustamente diretto contro di sé. I polacchi replicarono proponendo al contrario un patto di garanzia globale; i paesi baltici risposero in maniera identica. La Lituania invece accettò la proposta sovietica: spazio ciascuna delle due parti avrebbe rispettato l'inviolabilità del territorio dell'altra e sarebbe rimasta neutrale in caso di aggressione contro l'altra parte. Anche la Lettonia sottoscrisse un trattato di neutralità con l'Urss. In quel periodo furono firmati trattati analoghi anche con la Turchia, l'Afganistan. In effetti le preoccupazioni dell'Urss non erano del tutto ingiustificate. Durante gli anni che vanno dal 1926 al 1928 le relazioni fra i sovietici e la Francia, l'Inghilterra e l'Italia dall'altra, peggiorarono sensibilmente, per non parlare delle difficoltà con la Polonia, la Lettonia e l'Estonia.

 

Tensione franco-russa

 

In Francia vi era ancora una debole speranza di ottenere il rimborso dei debiti russi contratti dagli Zara e azzerati durante la rivoluzione bolscevica. Nel febbraio del 1925 si riunì a Parigi una conferenza franco-sovietica per studiare questo problema, ma alla conferenza terminò con un fallimento nel marzo del 1927. Nel frattempo un altro avvenimento aveva cresciuto la tensione: la firma del trattato franco-rumeno.

Dopo il 1920 la Romania cercava di ottenere la garanzia delle sue frontiere e soprattutto della Bessarabia. Il protocollo del 1920, con il quale aveva ottenuto riconoscimento di questa regione, era stato ratificato dalla Francia dall'Inghilterra, ma non dal Giappone e dall'Italia. Nel 1926 la Romania rinnovò la sua alleanza militare con la Polonia. Cercò anche di riavvicinarsi all'Inghilterra, all'Italia e alla Francia: la Francia fini quindi per allearsi con la Romania, firmando un trattato di alleanza nel giugno del 1926.

A questo trattato l'unione sovietica rispose con una nota del nell'ottobre del 1926, protestando contro un accordo che sanzionava l'annessione della Bessarabia alla Romania. Dopo questa nota e il fallimento definitivo delle trattative sui debiti russi, si delineò in Francia un forte movimento favorevole alla rottura delle relazioni diplomatiche trai due paesi. Ma Briand preferì non arrivare alle estreme conseguenze.

 

Tensione italo-russa

 

L'Italia faceva un grosso sforzo dopo il 1924 per avvicinarsi al paesi della piccola intesa. Mussolini firmò nel 1924 un trattato di amicizia con la Cecoslovacchia. Anche con la Romania, in quel periodo particolarmente vicina all'Italia, sottoscrisse un trattato di amicizia. Con questo accordo l'Italia riconosceva formalmente i diritti della Romania sulla Bessarabia. L'unione sovietica, quattro giorni dopo la nota di protesta che aveva inviato alla Francia sullo stesso tema, ne indirizzò una simile all'Italia.

Tensione anglo-russa

Assai peggiori furono le relazioni con l'Inghilterra. L'origine della tensione risale allo sciopero generale, proclamato nel maggio del 1926, dalle Trade Unions e che durò una settimana. Questo sciopero 1925 durante il 14º congresso del partito comunista. I sindacati russi organizzarono delle collette per sostenere i minatori inglesi. Ma il governo conservatore britannico indirizzò una nota di protesta ai sovietici, per il fatto che i sindacati sovietici finanziassero dei sindacati inglesi. Nel giugno dello stesso anno il governo Baldwin pubblicò un "libro azzurro " una raccolta di documenti destinata approvare l'ingerenza dei sovietici nella politica britannica. Poco dopo, Chamberlain minacciò l'unione sovietica di rompere l'accordo commerciale e persino le relazioni diplomatiche. Si giunse nel maggio del 1927, quando fu organizzata una perquisizione nei locali di una società commerciale anglo-sovietica. L'unione sovietica protestò contro questa violazione dell'immunità diplomatica. La questione fu dibattuta alla camera dei comuni, ma solo Lloyd George. Il primo ministro Baldwin decisione di annullare gli effetti dell'accordo un sale e di rompere le relazioni diplomatiche, con l'approvazione della camera dei comuni. Fu pubblicato quindi un " libro bianco " che raccoglieva tutta la documentazione relativa agli intrighi organizzati dall'unione sovietica per ingerire nella politica britannica.

 

L'isolamento dell'Urss

 

Verso la fine di giugno del 1926 ebbe luogo a Ginevra una conferenza fra Inghilterra, Germania, Francia, Belgio e Italia nel corso della quale fu trattato il problema dei rapporti con l'unione sovietica. Chamberlain propose a Stresemann di usare l'influenza del governo tedesco sul governo russo per ottenere un riavvicinamento economico fra la Russia e il resto dell'Europa. E gli era contrario ad una crociata contro i bolscevichi. Ma dopo l'assassinio di uno dei suoi diplomatici, l'unione sovietica ruppe le sue relazioni diplomatiche con la Svizzera. Bisognerà aspettare il 1929 con l'adesione dell'unione sovietica al patto Briand-Kellog, per registrare un miglioramento delle relazioni dell'unione sovietica con i principali paesi europei.

 

 

Il primo trattato italo-albanese

 

L'Italia mussoliniana si sforzava di rafforzare la sua posizione di influenza sull'Europa danubiana e balcanica, ma trovava un limite nell'influenza che la Francia esercitava su questi paesi. Quest'ultima era storicamente contraria alla revisione dei trattati scaturiti dalla fine della prima guerra mondiale. Come già detto Zogu, inizialmente protetto dagli jugoslavi, si schierò dalla parte degli italiani, cacciando il precedente governo dall'Albania. Una volta eletto presidente per sette anni, annunciò a Mussolini nel gennaio del 1925, che desiderava un governo solido in Albania che contribuisse la pace nei Balcani. Mussolini riconobbe immediatamente il suo governo, tanto che nel novembre del 1926 i due paesi firmarono a Tirana un patto di amicizia e di sicurezza valido per cinque anni, garantendo quindi l'assetto politiche territoriale dell'Albania.

 

L'alleanza franco-jugoslava

 

Il trattato di Tirana suscitò immediatamente delle preoccupazioni in Francia e in Jugoslavia. Garantendo l'indipendenza dell'Albania, l'Italia guadagnava una preponderanza nell'Adriatico. Gli jugoslavi temevano che questo accordo violasse il patto di amicizia firmato con loro a Roma. Ma alla Jugoslavia, membro della piccola intesa, considerava il patto di Roma come praticamente abolito. La tensione crebbe così fra i due paesi. Nel corso dell'estate del 1927 Italia Jugoslavia ruppero le relazioni diplomatiche.

Sin dal marzo del 1926 la Jugoslavia negoziavano un accordo con la Francia. Briand pensava di potersi includere anche l'Italia, ma Mussolini rifiutò. Nel novembre del 1927 il ministro degli esteri jugoslavo firmò l'accordo a Parigi. Si trattava di un trattato di alleanza ed amicizia. Briand dichiarò che non era diretto contro l'Italia, ma Mussolini si lamentò aspramente del trattato.

 

Il secondo trattato italo-albanese

Così in seguito al trattato di alleanza franco-jugoslavo, l'Italia rispose il 22 novembre firmando a Tirana con l'Albania un nuovo trattato di alleanza, che questa volta prevedeva una garanzia difensiva e che sarebbe durato 20 anni. In caso di guerra i due paesi non avrebbero concluso una pace separata. L'Albania entrava sempre di più nella zona di influenza italiana.

Tuttavia il presidente francese Briand cercò di non avvelenare i rapporti franco-italiani e qualche giorno dopo firmò con essi un accordo temporaneo che regolava la situazione di cittadini francesi in territorio italiano e viceversa. Mussolini ne approfittò per dichiarare che non avevo obiezioni al trattato franco-jugoslavo. Da parte sua la Jugoslavia finì per ratificare le convenzioni stipulate a Nettuno nel 1925. Ma il patto di amicizia firmato a Roma nel 1924 è giunto a scadenza non fu rinnovato. Oltretutto nel settembre del 1928 con l'approvazione italiana Zogu assunse il titolo re degli albanesi.

Il revisionismo italiano e l'Ungheria

L'Italia aveva anche consolidato i suoi legami con l'Ungheria, concludendo con essa nel settembre del 1925 un trattato di commercio e nell'aprile del 1927 un trattato di amicizia. Tuttavia i due paesi non erano alleati, ma il governo ungherese dichiarò che il suo paese entrava nella sfera degli interessi italiani.

La politica italiana raggiunse la sua completa realizzazione nel 1928. Mussolini già negli anni precedenti aveva dichiarato il suo favore ad una posizione di revisione dei trattati succeduti alla prima guerra mondiale. Profetizzò che l'Europa sarebbe arrivata in una fase delicata della sua storia fra il 1935 e il 1940, per questo si dichiarò favorevole ad una revisione dei trattati a vantaggio dell'Ungheria.

La Grecia ed i suoi vicini

La situazione nei Balcani restava agitata. La Grecia in particolare era in contrasto con tutti i suoi vicini. Con la Turchia nel 1925 gli scambi di popolazione non erano ancora terminati. Ponevano infatti una quantità di problemi soprattutto finanziari.

Con la Bulgaria avvennero diversi incidenti di frontiera, tanto che nell'ottobre del 1925 si arrivò ad un aperto conflitto fra i due paesi. Truppe greche penetrarono nel territorio bulgaro. Il governo bulgaro si rivolse alla società delle nazioni, che impose alle due parti di astenersi al ricorso alla guerra. Il consiglio si riunì e di inviò degli addetti militari sul luogo. Le truppe greche furono costrette ad evacuare la Bulgaria. Si trattò forse dell'unico successo ottenuto dalla società delle nazioni.

La Grecia era anche in cattivi rapporti con l'Albania. Esistevano anche delle serie difficoltà fra la Grecia e la Jugoslavia. La Gran Bretagna, da sempre interessata alla Grecia per la sua particolare posizione geografica, cercò di farla riavvicinare alla Jugoslavia e alla Bulgaria, per realizzare una sorta di Locarno balcanica. Fin dal gennaio del 1926 Grecia Jugoslavia intrapresero dei negoziati che portarono all'agosto del 1926 alla firma di un trattato di amicizia collaborazione fra i due paesi. Ma la Francia era poco favorevole alla creazione di una Locarno balcanica, preferendo il sistema della piccola intesa. Sarebbe stato però impossibile integrare la Bulgaria in questo sistema, considerandola su ostilità verso la Grecia. Le manovre inglesi fallirono, giacché il governo greco rifiutò l'anno successivo di ratificare il trattato greco-jugoslavo.

sabato 27 febbraio 2010

Parte I, Capitolo IV, Paragrafo V: I Dominions Britannici

Dopo la Guerra i “Dominions” cercarono di emanciparsi dalla tutela britannica: firmarono il Trattato di Versailles, nominarono propri rappresentanti diplomatici, agirono in seno alla SDN indipendentemente e soprattutto si rifiutarono di seguire l’Inghilterra nella guerra contro Kemal ed indussero gli inglesi a rigettare il “Protocollo di Ginevra”.

Nel 1926 ebbe fine l’Impero britannico e nacque il Commonwealth, cioè un raggruppamento di nazioni autonome e liberamente associate, unite da un comune vincolo alla Corona.

In seguito fu stabilito il diritto di secessione e che i conflitti interni sarebbero stati risolti da inglesi nel “Comitato giudiziario del Consiglio privato del re”.

Il tutto fu ratificato nello Statuto di Westminster del 1931.

Il rapporto privilegiato con i Dominions salvò l'economia britannica nel difficile periodo che va dal 1930 al 1932 attraverso l'applicazione dello statuto di Westminster.

Parte I, Capitolo IV, Paragrafo IV: Le relazioni interamericane

Non tutti gli stati americani aderirono alla Società delle Nazioni; le repubbliche dell’America Latina contavano su questa organizzazione per resistere all’imperialismo degli Stati Uniti. Furono rapidamente deluse.

Messico, Argentina, Perù, Bolivia, Costa Rica e Brasile non entrarono o si ritirarono presto dalla SDN. Infatti aderito alla società delle nazioni nella speranza di veder ridotto l'influenza americana nel continente. Queste speranze vennero rapidamente deluse, quando percepirono nella società delle nazioni essenzialmente nell'interesse delle potenze europee.

Gli USA imposero la “dottrina Monroe” definitivamente all’Europa, aggiungendo il “corollario Roosevelt” che ammetteva l’esclusivo intervento statunitense negli affari interni delle Repubbliche americane.

Dal 1921 al 1925 i repubblicani Harding ed Hughes cercarono di stemperare questa politica, provocando alcune serie conseguenze.

Nel 1922 fu convocata la “Conferenza di Washington per l’America centrale”, durante la quale furono firmati trattati tendenti a conservare la pace nella regione e a promuovere la cooperazione tra le cinque Repubbliche (Cuba, Honduras, San Salvador, Nicaragua e Costa Rica).

Nel 1925 le truppe americane evacuarono il Nicaragua. Un colpo di stato militare subito dopo costrinse gli USA a rioccupare la regione, organizzando nuove elezioni in cui fu eletto presidente Adolfo Diaz.

A preoccupare gli statunitensi era soprattutto l’influenza messicana nella regione (il Messico era in rivoluzione dal 1901 ed era tacciato di “bolscevismo”), ma i disaccordi con il Messico, dovuti soprattutto alla nazionalizzazione del petrolio, furono risolti diplomaticamente nel 1927 in modo che gli USA poterono progressivamente abbandonare l’interventismo militare del “corollario Roosevelt” ed abbandonare il Nicaragua nel 1933.

In questo quadro di rapporti particolare importanza assumono anche le CONFERENZE PANAMERICANE (ricordiamo quelle di Santiago del Cile nel 1923 e dell’Avana nel 1928) in cui si cercò di assicurare il regolamento pacifico delle dispute e di elaborare un “Pan-American Peace System”.

All’Avana gli Stati Uniti rifiutarono di rinunciare all’interventismo (moratoria proposta dall’Argentina che per protesta si rifiutò di firmare il Patto Briand-Kellogg e abbandonò la SDN) ma, dal 1929 il nuovo presidente Hoover (che aveva sostituito Coolidge) inizierà il periodo della “dottrina Hoover”, con la quale gli USA non accettavano situazioni contrarie agli obblighi assunti con il patto Briand-Kellogg.

In questo periodo si ebbero anche una serie di scontri di frontiera tra le Repubbliche dell’America Latina.

Tra questi ricordiamo il conflitto di Tacna-Arica tra Cile e Perù che si concluse nel ’29 con un accordo mediato dagli USA.

Il conflitto del Chaco tra Bolivia e Paraguay che si protrasse per dieci anni e fu risolto solo nel 1935 con un embargo della SDN;

Infine il conflitto di Leticia tra il Perù e la Colombia che fu risolto dopo due anni nel 1934 anch’esso con l’intervento della SDN, che condannava ufficialmente l’aggressione fatta dal Perù.

Parte I, Capitolo IV, Paragrafo III: Situazione dell’Africa e del Medio Oriente.

 

In Africa solo Sudafrica, Egitto, Etiopia e la Liberia erano Stati indipendenti, il resto dell’Africa era una colonia europea.

Abbiamo visto l’accordo stipulato tra Italia ed Inghilterra che diede agli italiani il controllo su una zona di influenza in Etiopia, seguito poi dal Trattato di amicizia e collaborazione firmato con gli etiopici nel 1928.

L’Egitto ha invece una storia a parte. Protettorato inglese, di fatto, già dal 1882, esso aveva un’ampia autonomia all’interno dell’impero ottomano; nel 1914 gli inglesi lo trasformarono ufficialmente in un loro protettorato.

Si creò, però, un movimento di protesta nazionale che portò a delle trattative durante il 1922 per la concessione del self-government; queste si conclusero con un atto unilaterale con cui gli inglesi mettevano fine al protettorato con alcune riserve (le comunicazioni dell’impero dovevano essere garantite, la difesa dell’Egitto spettava all’Inghilterra, il Sudan restava in statuto di condominio).

Faud I fu nominato “re d’Egitto” nel 1923 e l’anno dopo si tennero le prime elezioni, in cui il Wafd ebbe la maggioranza in opposizione alla corona.

Un primo incontro tra il presidente del consiglio egiziano e il primo ministro inglese MacDonald non portò ad alcun accordo, pochi mesi dopo fu assassinato il governatore generale inglese del Sudan e l’Inghilterra reagì ordinando l’evacuazione di tutte le truppe egiziane dal Sudan.

Un secondo progetto di trattato fu respinto dal governo egiziano nel 1927, un terzo progetto fu boicottato dalla maggioranza del Wafd nel 1929, un quarto negoziato fu interrotto nel 1932; sembrava impossibile ottenere un risultato.

Con la caduta dell’Impero ottomano i territori del Medio Oriente (penisola araba, Palestina, Iraq, Siria, Libano) divennero regioni instabili e di difficile controllo per le potenze occidentali.

Ovviamente le spoglie dell’Impero furono divise tra Francia ed Inghilterra, che già da tempo erano interessate alle enormi quantità di petrolio di quelle terre; in mancanza dell’impossibilità giuridica di una occupazione diretta esse usarono il mezzo del “mandato della Società delle Nazioni”.

Esso consisteva in un vero e proprio contratto tra la SDN ed uno stato in cui si fissavano le regole con le quali lo stato doveva condurre all’indipendenza un territorio occupato militarmente.

Secondo gli accordi segreti Sykes-Picot del 1916 la Francia avrebbe avuto il mandato sulla Siria e sul Libano, l’Inghilterra sulla Palestina e l’Iraq.

- Ma questi mandati creavano una distinzione tra i paesi arabi, poiché la penisola arabica (nonostante fosse una zona più arretrata rispetto alle altre) fu considerata l’unica regione della zona capace di “autogovernarsi”.

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Suddivisione territoriale degli accordi di Sykes-Picot

L’Arabia Saudita e Ibn Saud

Nel 1918 cominciarono in Arabia gli scontri per la conquista del potere da parte delle famiglie dominanti, che si concluse nel 1925 con la vittoria di Ibn Saud; egli proclamò la nascita del regno arabo-saudano, stabilendo la capitale nella sua città di origine, Riyadh.

In quell’anno egli ottenne anche il riconoscimento inglese, suggellato da accordi di confine: a sud della penisola Saud dovette rinunciare allo Yemen (dove avevano interessi inglesi ed italiani), mentre al nord non ottenne il confine con la Siria poiché avrebbe interrotto le comunicazioni tra i mandati britannici di Iraq e Transgiordania.

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La Siria

clip_image006 Durante la guerra le due potenze sostennero i movimenti separatisti arabi contro l’Impero ottomano; durante il 1918 vi fu nei territori turchi una rivolta araba appoggiata dagli inglesi che condusse il capo degli arabi, Faysal, alla conquista di Damasco, in Siria, nell'ottobre dello stesso anno.

Il sogno di Faysal era quello di creare un vasto stato arabo unito ed indipendente, ma questi progetti si scontrarono duramente con le ambizioni delle due potenze europee che, oltre ad ottenere i mandati dalla Società delle Nazioni, avevano intenzione di imporre la nascita in Palestina di uno stato nazionale ebraico.

Nel corso del 1919 Faysal cercò quindi di rafforzare il suo potere in Siria ma, con lo sbarco delle truppe francesi in Cilicia e nella stessa Siria, egli adottò la resistenza “diplomatica” facendosi proclamare re di Siria (1920).

Questo non impressionò più di tanto gli europei, infatti la conferenza di Sanremo del 1920 confermò i mandati assegnati permettendo alle truppe francesi di entrare tra gravi scontri a Damasco. Faysal fu espulso nello stesso anno.

Nel 1924 i francesi trasformarono la Siria in uno stato unitario che, da allora, è rimasto sempre diviso dal Libano.

 

Il Mandato Francese sulla Siria

Dal 1925 al 1927 vi furono violenti scontri di matrice soprattutto religiosa a causa soprattutto dell’anticlericalismo del generale francese Sarrail che scatenò la rivolta della popolazione cristiana libanese.

A causa di questa situazione lo sviluppo socio-politico della regione fu ritardato: il Libano ebbe una costituzione nel 1926, la Siria nel 1930.

Anche gli inglesi dovettero affrontare in Iraq una rivolta popolare avente l’obiettivo di porre sul trono Faysal, appena cacciato dalla Siria dai francesi. Essi si dichiararono pronti a concedere la piena indipendenza all’Iraq sotto un regno ereditario, cosicché Faysal fu nominato re nel 1921.

La completa indipendenza doveva essere concessa nel 1923 ma fu rimandata di alcuni anni in quanto gli inglesi aiutarono l’Iraq a conquistare i diritti sulla ricca zona petrolifera di Mosul, ai danni della Turchia.

L’Iraq fu dichiarato indipendente nel 1930, anno in cui entrò a far parte della SDN e stipulò un trattato di alleanza militare con l’Inghilterra.

La Palestina

Diversa la situazione circa l’altro mandato inglese in Palestina.

La zona comprendeva i territori palestinesi e la Giordania, non distinti culturalmente bensì uniti dall’unica fonte d’acqua nella zona, il Giordano.

Nonostante ciò gli inglesi decisero, nel 1922, di separare i due territori allo scopo di creare una zona araba ed ebraica in Palestina (Cisgiordania) ed una araba (Transgiordania) in cui l’immigrazione ebraica doveva essere frenata.

La creazione di uno stato nazionale ebraico era sostenuta dalle potenze europee (Giappone ed USA non se ne interessavano) poiché nei territori palestinesi vivevano già circa 60.000 ebrei (un decimo degli abitanti).

Gli Inglesi adottarono una politica incerta mentre gli arabi, timorosi dell’aumento della popolazione ebraica, crearono il Comitato Esecutivo Arabo, che riuniva arabi cristiani e musulmani sul piano politico.

Il fragile equilibrio fu spezzato nel 1929, dopo un parziale ritiro delle truppe inglesi (fiduciosi nella convivenza tra le due etnie): vi furono scontri in cui molti ebrei furono uccisi, perciò gli inglesi intensificarono l’occupazione militare e permisero la creazione dell’Agenzia Ebraica, un’autorità amministrativa che doveva regolare l’immigrazione degli ebrei in Palestina e limitarla in Transgiordania (organizzazione già prevista nel mandato).

In Transgiordania gli inglesi adottarono soluzioni più autoritarie: il nuovo sovrano Abdullah doveva accettare i consigli del governo britannico in politica estera ed economica ed il controllo su alcune leggi importanti, l’indipendenza avrebbe richiesto l’adozione di un regime costituzionale.

Nella già difficile situazione si inseriva la presenza in Palestina dei luoghi santi della religione cristiana (la Francia si autonominò protettrice di questi luoghi), le differenze sostanziali a livello economico e sociale che ostacolavano l’integrazione tra israeliani e palestinesi, come la gestione delle terre, l’impiego della tecnologia e l’assiduità nel lavoro degli ebrei, sconosciute o differenti nel mondo arabo (si pensi che le terre erano equamente divise dall’autorità religiosa).

Durante il periodo della persecuzione nazista (dal ‘33-’34) il numero degli ebrei in Palestina arrivò a 500.000, ¼ della popolazione araba.

Parte I, Capitolo IV, Paragrafo II La situazione in Estremo Oriente: il Giappone e la Cina.

 

Con il nuovo esercito i giapponesi operano una rivincita sulla Cina, occupando nel 1894 la penisola coreana, dalla quale erano partite tutte le passate incursioni cinesi sul suolo giapponese.

Nonostante questa vittoria, però, i giapponesi non poterono annettere la Corea, poiché vi fu un intervento delle potenze occidentali (la cosiddetta “Triplice dell’estremo oriente”, formata da Germania, Russia e Francia) che non volevano la presenza dei giapponesi sul continente asiatico; esse imposero la decisione al Giappone con l’invio delle loro tre flotte orientali.

Come reazione a questa imposizione i giapponesi stipulano un accordo marittimo con l’Inghilterra nel 1902, il quale prevede il sostegno giapponese all’impero inglese in India, in cambio di un aiuto dell’Inghilterra alla flotta giapponese (accordo che perse ogni sostanziale valore dopo il “Trattato delle quattro potenze del Pacifico”, che sanciva lo status quo in quell’ambito).

La prima “vendetta” contro gli stati della Triplice dell’Estremo oriente fu operata dai giapponesi ai danni della Russia, con una guerra vinta dai giapponesi nel 1904-1905, ottenendo il controllo della ferrovia sub-manciuriana (parte importante della Transiberiana), i diritti di presidio in Corea (poi annessa definitivamente nel 1910) e la possibilità di inserire capitali giapponesi nella costruzione della Transiberiana.

Durante la Prima Guerra Mondiale è saldato il conto con la Germania, occupando in due mesi tutte le colonie tedesche in Estremo Oriente (lo Xiantung e le Isole Marianne).

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Lo Xiantung

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La conquista dello Xiantung è usata come base per una penetrazione in Cina: i giapponesi impongono una sorta di assistenza tecnica e politica al debole governo cinese, sancita con il “Trattato delle 21 domande” del 1915.

Alla conferenza di pace il Giappone chiede il riconoscimento delle conquiste fatte ma si scontra con l’opposizione soprattutto degli Stati Uniti, che lo vede come un pericoloso nemico ad oriente; per forzare gli americani i giapponesi chiedono un trattato internazionale sull’eguaglianza delle razze, il quale avrebbe penalizzato quegli stati (come gli USA) che praticavano la segregazione razziale. Ed infatti il Giappone vide riconosciute le sue richieste nel trattato di Versailles, compresa l’occupazione dello Xiantung.

Possiamo dire che negli Stati Uniti, questa vittoria diplomatica giapponese, fu una delle cause che non fecero approvare il trattato, (oltre al patto di difesa militare che li legava alla Francia).

Il contrasto nippo-americano continuerà negli anni successivi. sino all’attacco giapponese a Pearl Harbor e all’attacco atomico americano.

La Cina.

La Cina compare sulla scena internazionale con le “Guerre dell’Oppio” del 1840, alle quali seguono i cosiddetti “Trattati ineguali”, con cui gli stati europei ottengono molti privilegi nella gestione di beni, servizi e commerci sul suolo cinese: (concessi con il consenso dei potentissimi amministratori locali, i Mandarini), nonché regole privilegiati sull’extraterritorialità.

Solo gli Stati Uniti mantengono il “principio della porta aperta”, protestando contro il mantenimento di zone privilegiate al commercio di prodotti europei.

Nel 1899 si ha un risveglio nazionalista cinese, che esplode con la “rivolta dei Boxers” contro il quartiere delle ambasciate.

L’insurrezione ha un esito fallimentare poiché gli stati europei organizzano una spedizione militare che riprende il controllo del paese.

Un processo di modernizzazione fu avviato da Sun Yat-Sen nei primi anni del secolo: si ha un parziale abbandono del vecchio ordinamento che si attua soprattutto con l’allontanamento pacifico dell’Imperatore.

Tuttavia il paese è diviso sotto il controllo di varie autorità ed il governo di Sun Yat-Sen è esiliato a Canton, mentre a Pechino se ne forma un altro portando il paese ad una guerra civile che rende molto più difficoltosa la conquista della piena indipendenza dello stato dai paesi europei.

Ad approfittare di questa situazione è soprattutto il Giappone, che impose alla Cina l’accettazione del “Trattato delle 21 domande”, chiedendo l’assenso ad una “assistenza” di ministri giapponesi nel governo cinese e di forti comunità in Manciuria, nonché il controllo dello Xiantung (allora colonia tedesca).

Mentre le potenze europee davano via libera al Giappone, gli americani si schieravano con la Cina, facendola entrare in guerra contro la Germania per partecipare da paese libero e vincitore alle trattative per la pace.

Ma, trovandosi Stati Uniti e Giappone nella stessa coalizione, essi dovettero raggiungere un accordo: nel novembre 1917 gli americani riconoscono la presenza giapponese in Cina, mentre questi ne assicurano l’indipendenza.

Gli Stati Uniti appoggiano la Cina in funzione anti giapponese e il problema della ormai prossima avanzata nipponica sul continente asiatico è ripreso proprio durante la conferenza di Washington.

I cinesi chiedevano la revisione dei “Trattati Ineguali” e la fine delle usurpazioni territoriali straniere: Stati Uniti ed Inghilterra erano favorevoli, secondo il “principio della porta aperta”, ad una revisione che favorisse la Cina (ostacolando le ambizioni giapponesi), la Francia era disposta a fare piccole concessioni, il Giappone era contrario sostenendo l’instabilità della situazione interna cinese come pretesto per non attuare le revisioni.

Dopo accese discussioni i cinesi ottennero solo un impegno dalle potenze a rispettare l’indipendenza e l’integrità territoriale della Cina, a mantenere legami commerciali e a non approfittare della situazione interna dello stato.

Gli occupanti non ritiravano le loro truppe e non concedevano l’indipendenza doganale, l’extraterritorialità non fu abolita poiché si riteneva che l’organizzazione giudiziaria cinese non offrisse sufficienti garanzie.

Questi accordi composero il “Trattato delle nove potenze” (febbraio 1922).

Per quanto riguardava i rapporti con il Giappone, la Cina chiese la revisione del “trattato delle 21 domande” e l’annullamento dei diritti giapponesi nello Xiantung. I giapponesi imposero dei colloqui bilaterali e, sotto la minaccia statunitense di un forte riarmo navale, con l’accordo del febbraio 1922 accettarono di evacuare le truppe dallo Xiantung e restituire alla Cina il controllo delle ferrovie su questo territorio; il “trattato delle 21 domande” rimase in vigore ma il Giappone di fatto rinunciò a molti dei privilegi che questo “accordo” gli attribuiva. In cambio di tutte queste concessioni i giapponesi ottennero la già accennata supremazia navale nel pacifico.

- Durante e dopo la conferenza di Washington, la Cina continuava ad essere sconvolta dalla guerra civile; il governo momentaneamente riconosciuto dall’occidente era quello di Pechino, mentre un secondo governo guidato dal partito nazionalista di Sun Yat sen (Kuomintang) era di stanza a Canton e vari generali occupavano d'autorità alcune province nel nord del paese.

Il problema che si poneva alle potenze era sapere con quale governo trattare.

Particolari furono le relazioni tra Cina ed Unione Sovietica:

Dal 1923 al 1927 i sovietici riconobbero come legittimo il governo di Canton, stabilirono strette relazioni con Sun Yat Sen, addestrarono le armate del Kuomintang e cercarono di riformare il partito dall’interno in direzione comunista, perorando in Giappone e all’estero la revisione dei “Trattati ineguali”; in cambio ottennero l’occupazione militare della Mongolia esterna, che nel 1924 fu trasformata in una “Repubblica Popolare”.

Ma i rapporti ebbero fine con la morte di Sun Yat sen; il nuovo capo del Kuomintang, Chiang Kai-shek, operò una netta rottura con i russi, i quali nel 1927 interruppero le relazioni diplomatiche con Canton.

Contemporaneamente i sovietici negoziavano un accordo con il governo di Pechino che fu firmato nel maggio 1924.

Questo trattato fu il primo per la Cina negoziato su basi paritarie: infatti, i cinesi riconoscevano il governo sovietico della Russia, in cambio tutti i trattati tra la Cina ed il governo zarista erano annullati, la Mongolia esterna era data completamente alla Cina, i sovietici rinunciavano alla “indennità dei Boxer” e ritiravano le loro truppe dalla zona della ferrovia orientale cinese (che era diretta dai russi in attesa del riscatto, con alcuni membri cinesi nel consiglio di amministrazione); i sovietici rinunciavano anche ai loro diritti di extraterritorialità sul suolo cinese.

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Mongolia interna e Mongolia Esterna

Intanto nel 1926 Chiang Kai-shek iniziava la sua lotta di unificazione della Cina, che si concluse vittoriosamente nel 1928 con la conquista di Pechino.

L’anno seguente egli decise di cambiare il direttore russo della ferrovia orientale con uno cinese. I sovietici risposero attaccando la Manciuria del nord e, nel dicembre 1929 sconfissero duramente i cinesi.

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La Manciuria

Tuttavia la questione della ferrovia non fu risolta e, quando nel 1931 i giapponesi attaccarono la Manciuria, vi era ancora un direttore cinese.

- Gli accordi di Washington cominciarono ad essere applicati nel 1922 (conferenza di Shanghai sulle tariffe doganali, istituzione di una commissione d’inchiesta sull’extraterritorialità per stabilire la sicurezza per i cittadini occidentali in Cina e l’efficienza del sistema giudiziario);

Ma intanto continuava l’occupazione sempre più odiosa agli occhi della popolazione, cosicché nel 1925 scoppiò a Shanghai una forte rivolta anti-occidentale guidata dai nazionalisti; nella città la polizia inglese uccise nove cinesi e la flotta francese mitragliò Canton.

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Le trattative erano fatte con il governo di Pechino ma nel 1926 cominciò l’avanzata vittoriosa del Kuomintang; scosse dalle violenze e per la perdita di potere del governo rappresentativo, le potenze decisero di proporre una revisione dei trattati se la Cina avesse espresso un governo solido con il quale trattare. Nel 1928 iniziarono le trattative con il governo nazionalista del Kuomintang che era riuscito ad unificare la Cina, il solo Giappone si rifiutava di mettere in discussione gli accordi.

A partire dal luglio di quell’anno il governo nazionalista cinese ottenne la firma di vari trattati che riconoscevano alla Cina l’autonomia doganale, mentre per il problema dell’extraterritorialità le potenze chiedevano un ulteriore miglioramento dei codici, quindi la situazione rimase immutata.

Parte I, Capitolo IV, Paragrafo I: La Conferenza di Washinghton

La conferenza di Washington

Gli Stati Uniti erano governati dal 1921 dal presidente Harding, il quale sosteneva l’idea del “ritorno alla normalità” consistente nella conservazione dell’isolamento tradizionale e di non partecipazione alla SDN.  La schiacciante vittoria ottenuta dai repubblicani sui democratici convinse il presidente Harding che la volontà dell'opinione pubblica era quella di non partecipare alla società delle nazioni.

Gli USA firmarono un trattato di pace separato con la Germania nel 1921. Harding decise di convocare una conferenza per la discussione del disarmo (in particolare di quello navale) e della situazione in Estremo Oriente e nel Pacifico. Alla CONFERENZA DI WASHINGTON DEL NOVEMBRE 1921 parteciparono Francia, Inghilterra, Italia, Giappone, Cina, Belgio, Olanda e Portogallo; essa si protrasse sino al febbraio del ’22.

Si discusse solo del disarmo navale (la Francia non accettava limitazioni sull’armamento terrestre sostenendo l'esigenza di dover mantenere un forte esercito difensivo nei confronti della Germania) e da subito si creò una forte coalizione anglo-americana che riuscì ad imporre determinate quote di navi civili e militari agli altri paesi.

Il trattato delle cinque potenze fu firmato nel febbraio 1922.

Esso stabiliva la parità tra le flotta militare americana e quella inglese (che doveva abbandonare il principio del “two powers standard”), e riduceva le aspirazioni al riarmo navale francese; per le flotte civili erano assegnate le seguenti quote: 5 USA e GB, 3 Giappone, 1,75 Italia e Francia.

La Francia ottenne un unico successo nel mantenere libera la costruzione di sottomarini e delle unità minori; il Giappone fu spinto ad accettare dalla clausola che stabiliva il mantenimento dello status quo nelle fortificazioni delle isole nel Pacifico e anche perché gli USA potevano schierare nel pacifico solo un 2,5 della flotta, mentre il Giappone aveva una quota di 3. Il Giappone avrebbe desiderato ottenere la parità di diritti di costruzione della propria flotta rispetto agli Stati Uniti , ma sotto la minaccia da parte di questi ultimi di una ripresa della corsa agli armamenti navali , nella quale il Giappone avrebbe sicuramente perso , accettò il compromesso .

Per quanto concerne l’Estremo Oriente fu firmato il “trattato delle quattro potenze” sul pacifico nel dicembre 1921 in cui Francia, Inghilterra, USA e Giappone stipulavano un trattato di garanzia sui possedimenti nel Pacifico, stabilendo regole di non aggressione e di risoluzione pacifica delle controversie. Questo trattato era fortemente voluto dall'Inghilterra,che pressata anche da Stati Uniti e Canada a rinunciare a rinnovare il trattato di alleanza stipulato nel 1902 con il Giappone, voleva come contropartita un trattato di garanzia che tutelasse i suoi possedimenti nel Pacifico.

Parte I, Capitolo III, Paragrafo I: L’Europa e l’apogeo della Sicurezza Collettiva

 

I Trattati di Locarno e l’ammissione della Germania alla Società delle Nazioni.

Partendo da un’idea dell’ex Cancelliere Cuno, nel febbraio 1925 Strasemann redasse un memorandum ai governi alleati, il quale proponeva un accordo in cui la Germania avrebbe rispettato il confine franco-tedesco e la zona smilitarizzata della Renania, accettando in questo modo solo due punti del Trattato di Versailles e tralasciando il resto.

L’Inghilterra non approva questa nuova politica revisionista di Strasemann, Mussolini avrebbe preferito anche un impegno tedesco nel non applicare l’anschluss, mentre in Francia cadeva Herriot ed il nuovo governo francese di Painlevè con agli esteri Briand (che manterrà questa carica fino alla morte nel 1932), accettò la proposta a condizione che la Germania fosse entrata nella SDN senza porre condizioni particolari.

La conferenza per discutere questi ed altri temi si svolse a Locarno nell’ottobre 1925. Ad essa vi parteciparono anche Chamberlain, il belga Vandervelde e Mussolini.

Furono stipulati una serie di trattati, il più importante dei quali fu quello che stabiliva il mutuo rispetto delle frontiere tra Francia, Belgio e Germania, fatto con la garanzia militare dell’Inghilterra e dell’Italia.

Fu deciso, inoltre, che se la Germania avesse invaso la zona smilitarizzata si sarebbe potuto intervenire con le armi; furono stipulati dalla Francia due trattati di alleanza con la Cecoslovacchia e la Polonia.

Il tutto fu chiuso con accordi di arbitrato tra la Germania da una parte e Francia, Belgio, Cecoslovacchia e Polonia dall’altra per evitare conflitti.

La Germania subordinò la firma del Trattato allo sgombero della zona di Colonia, che fu accettata dalla Francia; successivamente il Trattato fu approvato in Germania superando l’ostacolo dei nazionalisti.

Per quanto riguarda l’entrata nella Società delle Nazioni, la Germania chiese un seggio permanente e (per il suo esercito ridotto) di non partecipare alle sanzioni militari.

Alla prima votazione del Consiglio la Germania fu esclusa per l’opposizione del Brasile, poi nel settembre 1926 fu approvata una riforma dello Statuto per cui i membri del Consiglio divenivano 15: 6 permanenti (compresa la Germania, ammessa dopo l’uscita del Brasile dall’organizzazione), 3 a carattere semipermanente e 6 non permanenti.

La Germania fu ammessa nella SDN nel settembre 1926, dando l’idea al mondo dell’inizio di un periodo di pace e collaborazione tra le nazioni.

Questo riavvicinamento franco-tedesco fu soprattutto opera di Briand e Stresemann. Il primo era un idealista che operava sinceramente per la pace invece di cercare a tutti i costi un vantaggio per la Francia o l’umiliazione della Germania (per questo fu spesso criticato dai nazionalisti francesi);

Stresemann era invece più concreto. La sua più grande vittoria è stata proprio quella di far accettare gli accordi di Locarno ai vincitori, poiché egli ottenne da questi il riconoscimento che il Trattato di Versailles fu un'imposizione senza la minima mediazione con i vinti e che, inoltre, la Germania non era la sola responsabile dello scoppio della guerra.

Riuscì ad imporre il suo revisionismo ai vincitori, sconfisse l’opposizione montante all’interno della destra nazionalista e contribuì a dare al mondo negli anni che vanno dal 1926 al 1929 una forte speranza di pace e stabilità.

Dopo Locarno Briand propose a Strasemann (accordi di Thoiry del settembre 1926) la fine dell’occupazione militare, la restituzione della Saar e la fine dei controlli sull’arsenale militare. In cambio di queste importanti concessioni politiche egli chiedeva alcuni vantaggi finanziari per la Francia in modo da salvare la credibilità del franco.

Il governo tedesco fu subito favorevole ma in Francia rimaneva viva soprattutto la paura per la fine dei controlli militari; il progetto fallì perché il mese successivo il franco cominciò a rinforzarsi, rendendo non più prioritarie le manovre finanziarie.

Tuttavia la Germania ottenne comunque la fine del controllo militare a partire dal 1927, poiché la Società delle Nazioni decise di richiamare la Commissione competente in quanto i governi non ne tenevano conto.

Il patto Briand-Kellogg ed il piano Young.

L’apogeo di questa ondata pacifista si ebbe nell’agosto 1928 con il patto Briand-Kellogg, firmato a Parigi da quasi tutte le nazioni del mondo (57).

Esso nasce da una proposta di Briand al governo americano, vale a dire la firma di un patto che avrebbe sancito l'abbandono della guerra come risoluzione dei conflitti tra i due stati; gli americani accettarono a condizione di allargare l’accordo a tutti gli stati, mentre la Francia ottenne che la firma del patto non avrebbe annullato gli obblighi di Locarno (intervento armato in caso di invasione tedesca) e della appartenenza alla Società delle Nazioni (intervento contro uno stato inadempiente).

Presi gli accordi, il “patto di rinuncia generale alla guerra” fu accettato anche dagli altri governi, condannando il ricorso alla guerra come risoluzione dei conflitti internazionali (art.1) e impegnandosi alla ricerca di mezzi pacifici nelle situazioni di conflitto (art.2).

La Russia vi aderì dopo aver firmato un patto simile con i suoi vicini (Polonia, Estonia, Lituania, Lettonia, Turchia e Romania) detto “accordo di Mosca” o “protocollo Litvinov”.

Durante la firma del patto Stresemann, Briand e Poincarè (rieletto a grande maggioranza in Francia poco tempo prima) discussero circa i due problemi ancora pendenti tra Germania e Francia: le riparazioni e l’evacuazione della Renania, occupata dalla fine del conflitto.

Poincarè voleva (come fu per il piano Dawes) unire le due questioni, cosicché anche la Francia avrebbe potuto pagare i suoi debiti di guerra a USA ed Inghilterra.

Nell’agosto 1929 una conferenza franco-anglo-tedesca tenutasi all’Aia decise che l’evacuazione della Renania sarebbe stata completata nel luglio 1930. La questione delle riparazioni era invece più complessa: il piano Dawes aveva valenza per cinque anni, fino al 1929 (da qui la preoccupazione di Poincarè), la Germania aveva pagato regolarmente quasi 10 miliardi di marchi-oro in valuta e in merci prodotte.

In giugno si era riunita una commissione sotto la presidenza dell’americano Young, la quale presentò un progetto di pagamento in 36 annualità crescenti da 1,5 miliardi a 2,5 miliardi di marchi-oro (la scadenza era nel 1988, anno in cui Francia ed Inghilterra finivano il pagamento dei debiti agli USA, ma non si era adottata appositamente la politica “clausola di salvaguardia”), pagati dalla Germania direttamente in valuta straniera per riacquistare la sua autonomia finanziaria; inoltre la Commissione per le riparazioni sarebbe stata soppressa.

In Francia il Piano Young fu approvato contemporaneamente con l’approvazione del pagamento dei debiti di guerra agli alleati.

La conferenza dell'Aja fu l'ultimo successo di Strasemann.

Egli morì a Berlino nell'ottobre del 1929.